Nel Medioevo, in Lunigiana, l'arte di coltivare i castagni da frutto ebbe un grande impulso grazie alla contessa Matilde di Canossa. Il castagno per secoli ha sfamato con i suoi frutti generazioni di lunigianesi ed ha costituito la base alimentare delle popolazioni rurali che in esso trovavano rimedio a carestia e povertà. Il suo legname serviva a riscaldare i casolari, a fornire tannino indispensabile nella conciatura delle pelli, lettiera e fogliame per il bestiame, materia prima per costruzioni, paleria ed attrezzi di uso quotidiano. Fornitore di un alimento di primaria importanza, divenne nei secoli "albero del pane" nelle zone in cui maggiore era la pressione demografica. Le castagne sono così diventate un'alternativa ai cereali, come cibo a destinazione prevalentemente popolare, in virtù della facile reperibilità e conservabilità. Inoltre, il basso prezzo e l'alto valore nutritivo hanno valso al frutto il nome di "pane dei poveri". Ed è proprio in questa lotta per la soppravvivenza che i poveri hanno imparato ad utilizzare e cucinare le castagne nei più svariati modi. Arrostite o bollite in acqua o latte, sostituivano, specialmente in montagna, il pane; calde si consumavano con latte o vino come minestra; macinate, costituivano sfarinati da impiegare come succedanei delle più costose farine di cereali nella preparazione di polenta, puree, focacce, castagnacci, zuppe.
La Lunigiana rappresenta un enorme castagneto: il castagno è infatti la pianta tipica della Lunigiana e i prodotti derivati costituiscono un mercato tipicamente stagionale, ma abbastanza importante. La farina di castagne della Lunigiana è contraddistinta da una consistenza molto fine e da un colore avorio-crema. Ha sapore dolce e un intenso profumo di castagne. La tradizionalità del prodotto è legata alle caratteristiche organolettiche delle cultivar locali e all'antichissima tecnica di condizionamento (affumicatura) che ha luogo nei tipici metati per mezzo di un fuoco alimentato costantemente con legna di castagno.
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